StarCraft: Remastered

L'astronauta che portò StarCraft nello spazio

L'astronauta che portò StarCraft nello spazio
Recentemente, abbiamo avuto l'occasione di parlare con Daniel Barry, l'ex astronauta che nel 1999 portò con sé il disco di gioco di StarCraft a bordo dello Space Shuttle Discovery. Lo storico viaggio del gioco avvenne durante la missione STS-96, che vide il primo attracco in assoluto alla Stazione Spaziale Internazionale. Durante l'intervista, abbiamo discusso della relazione della sua famiglia con StarCraft, l'importanza di seguire i propri sogni e del percorso che portò lui e il gioco nello spazio. Ecco il video dell'intervista (in inglese); più in basso ne troverete una trascrizione in italiano.

La trascrizione di questa intervista è stata modificata per garantirne la chiarezza.

Daniel Barry, laureato in scienze mediche ed ex astronauta della NASA: Ho sempre voluto diventare un astronauta, sin da quando ho memoria. Ero il tipico ragazzino che saltava giù da ogni parte, cercando di imparare a volare. Per il mio quinto compleanno mi regalarono un casco da football, perché i miei genitori erano stufi di vedermi battere sempre la testa. Non giocavo a football, semplicemente saltavo giù da ogni posto. Passavo il tempo all'aeroporto, aggrappato al recinto della pista per guardare gli aerei che partivano o atterravano. È quello che ho sempre voluto fare.

È stato fantastico in prima elementare. Tutti i miei amici volevano diventare astronauti e anche i genitori ne andavano fieri, dando pieno supporto alle nostre fantasie. Arrivati in prima media, però, eravamo rimasti solo in cinque o sei... tutti gli altri erano passati a voler diventare campioni di sport o stelle del cinema. Verso la fine delle superiori, ero l'unico rimasto.

Ricordo il giorno che andai a chiedere consiglio per l'orientamento scolastico: speravo mi chiarissero la strada da intraprendere per diventare astronauta, per cui ero veramente eccitato. Appena entrato nella stanza, la signora guardò il foglio e disse "Vuoi diventare un astronauta?", al che risposi "Sì, è esattamente ciò che voglio diventare" [ride]. La sua risposta fu "Permettimi di essere franca: non sei abbastanza intelligente per diventare un astronauta." "Cosa?", risposi. Lei continuò dicendo "e non sei abbastanza in forma per essere un astronauta." La mia risposta fu "Beh, posso cominciare ad andare in palestra." Ma il colpo di grazia fu quando disse "E francamente non sei abbastanza di bell'aspetto per diventare un astronauta." [ride] Fu un giorno molto triste.

Barry: Non credo volesse essere crudele, voleva solo impedire che un ragazzino cadesse vittima di una grande delusione. Credeva di farmi un favore. Dopo quell'episodio, andai al college e fu lì che dovetti compiere una scelta. Avevo l'opportunità di entrare nell'Air Force e seguire gli studi per diventare un pilota.

Non mi arresi. Smisi di dire alla gente cosa volevo diventare, perché per la maggior parte delle persone sembrava uno scherzo. Iniziai a fare richiesta non appena raggiunsi i requisiti minimi necessari, quando avevo circa vent'anni. Presentai richiesta per 14 anni consecutivi, ma alla fine riuscii a entrare.

Scrissi una lettera a un astronauta, dicendo che avevo finalmente la possibilità di scegliere se entrare nell'Air Force o continuare in ingegneria, che era quello che mi piaceva davvero. Il suo nome era Ed Gibson e mi rispose con una bellissima lettera di tre pagine scritte a mano, dicendomi: "Se ciò che vuoi fare è pilotare aerei, allora fallo. Se invece vuoi fare ingegneria, allora buttati su quello. Fra circa cinque anni, lo Space Shuttle entrerà in servizio e saranno necessari due piloti per ogni cinque scienziati; non mancheranno opportunità da ambo le parti. Se segui ciò che davvero ti piace fare, la motivazione ti porterà a diventare il migliore al mondo. È questo a cui devi puntare."

Accettai di cuore il suo consiglio e rinunciai alla carriera nell'Air Force, ed è lì che le cose iniziarono a farsi serie. A quel punto, decisi che ogni giorno avrei fatto qualcosa che mi avrebbe portato sempre più vicino a diventare un astronauta. Per vent'anni, giurai di non andare a dormire la notte fino a quando non avessi fatto qualcosa che mi avrebbe portato più vicino al sogno di volare nello spazio. Poteva essere qualsiasi cosa, dal leggere un articolo, scrivere un programma o proporre un esperimento, ma fu così che riuscii a mantenere vivo il sogno: non volevo che passasse un singolo giorno senza che mi impegnassi per raggiungerlo.

Beh, le motivazioni cambiano nel corso della vita, ma da ragazzino tutto girava attorno all'idea di volare velocissimi con una colonna di fumo e fiamme alle spalle. Tutta la mia famiglia è sempre stata affascinata dalla fantascienza e tutti leggevamo un sacco di libri di quel genere. Quando si invecchia, si tende a vedere le cose con una prospettiva diversa. Non fraintendermi, molto ha ancora a che fare con la velocità, il fumo, le fiamme e il fluttuare a gravità zero, ma ci sono anche altri dettagli che non avevo anticipato. La sensazione di far parte di un gruppo affiatato che non esiterebbe a rischiare la propria vita per salvare quella degli altri. È qualcosa di veramente fantastico.

Un aspetto di questo lavoro che non avevo ben compreso da giovane, è che si tratta di un lavoro estremamente interessante: prevede sia un lato intellettuale, in cui si studiano circuiti e differenti sistemi informatici, ma anche un lato fisico, in cui ci si addestra per ore e ore sott'acqua per affrontare passeggiate spaziali e si vola a bordo di aerei supersonici ad alta velocità. Mi è sempre piaciuta la combinazione di studio sui libri e addestramento pratico in volo, a gravità zero o sott'acqua. Le giornate erano senza dubbio parecchio interessanti.

I giochi che ho sempre preferito sono quelli facili da imparare ma difficili da perfezionare. Il mio gioco preferito è Go. Ho giocato a Go sin dai tempi del college e sono tuttora una frana, in senso generale, ma sono arrivato al punto di riuscire a cavarmela in modo ragionevole. Posso insegnare a chiunque come giocare a Go in meno di cinque minuti; le regole sono facili e ci vuole poco a iniziare una partita. Una cosa interessante di Go è la possibilità di impostare degli handicap ed è quindi possibile impostare una partita piuttosto competitiva, anche tra uno che gioca a Go da quarant'anni e uno che ha imparato solo dieci minuti fa. Credo che questa sia una caratteristica tipica di un grande gioco.

Una delle cose che preferisco delle recenti uscite di StarCraft è l'aver dato la possibilità a tutti di apprezzare il gioco, pur mantenendo al tempo stesso un livello di difficoltà molto alto nel caso si intenda perfezionare la propria padronanza con esso. Credo che Blizzard, come azienda, abbia fatto un gran bel lavoro. Trovo dei forti parallelismi tra l'idea di investire del tempo in un gioco e la volontà di perfezionare la propria abilità per arrivare a vincere tornei. Credo fermamente che una tale perseveranza sia fondamentale nel mondo reale per raggiungere gli obiettivi che ci si prefissa.

Ho deciso di portare StarCraft con me quando sono andato nello spazio perché... beh, per una serie di motivi. Il primo è perché lo adoravo davvero, ma non era certo l'unico. La ragione principale è stata perché vedevo StarCraft come uno strumento che mi aiutasse a rimanere in contatto con la mia famiglia mentre ero in viaggio.

Sono rimasto lontano da casa per gran parte della mia carriera di astronauta, in parte anche per questioni familiari dal momento che mia moglie lavorava come professoressa nel Massachusetts ed ero in costante movimento tra Houston e il Massachusetts. Quando si hanno dei figli, è naturale voler rimanere in contatto con loro tutti i giorni. Leggevo loro dei libri, a volte per un'ora o un'ora e mezza ogni notte; lo sapevi che esistono 16 versioni diverse del Mago di Oz? Io non lo sapevo e le abbiamo lette tutte.

Giocavamo anche molto insieme, in particolare a StarCraft, sul quale io e mio figlio abbiamo passato molti anni, come scusa per divertirci un po' insieme. Credo davvero che [StarCraft] abbia contribuito a unire la nostra famiglia. Poi, naturalmente, il tema spaziale e tutto il resto... era perfetto. StarCraft e Go sono stati gli unici due giochi che ho portato con me nello spazio.

Decisi di portarlo con me senza dire nulla a Blizzard. Era semplicemente una cosa che volevo fare. Fu più una decisione a livello familiare: decidemmo insieme quali CD sarebbero andati in orbita. Un giorno qualcuno di noi disse: "Beh, porta nello spazio StarCraft." La mia risposta fu semplicemente: "Ottima idea!"

Gli oggetti personali che vengono spediti nello spazio sono immagazzinati a parte. Non si può nemmeno tirarli fuori per fare una semplice foto. Si possono portare due oggetti da custodire nell'armadietto personale, ma tutto il resto viene immagazzinato altrove senza possibilità di averne accesso, quindi no.

Sullo Space Shuttle e sulla Stazione Spaziale Internazionale avevamo dei portatili, quindi probabilmente avremmo potuto giocare, anche se sarebbe stata una cosa non da poco... avremmo dovuto ricevere l'approvazione della NASA per installare un gioco su un computer a bordo. Sarebbe stato fin troppo problematico e, in ogni caso, non avremmo avuto il tempo di giocarci. Quando ci si trova nello spazio è tutto così incredibile e fantastico che raramente si passa del tempo al computer.

Quando poi tornai a casa, mi dissi "Beh, ora che facciamo con tutta questa roba?" [ride]. Pensai, "Magari a Blizzard farebbe piacere averlo". Così scrissi una e-mail a Blizzard con scritto: "A proposito, ho portato [StarCraft] con me nello spazio, vi interesserebbe riavere il CD?"

Entrambi. Mia figlia apprezzava più Warcraft di StarCraft, ma tutti noi giocavamo. Giocavamo anche a tennis e a volte capitava di giocare uno contro l'altro, altre volte capitava di giocare in doppio insieme; lo stesso valeva per StarCraft. Giocavamo anche alle missioni insieme. Durante il fine settimana capitava di sederci davanti al computer per giocare alle missioni e andare avanti nella storia di un paio di capitoli. Abbiamo fatto di tutto, missioni, uno contro l'altro e a squadre. Tutto quanto.

Ho sempre trovato i protoss la razza più semplice da giocare, quindi quando capitava di fare una partita dopo una lunga pausa, sceglievo i protoss. Mio figlio continuava a battermi con i Carri d'assedio dei terran, quindi mi è capitato di usarli di tanto in tanto. Naturalmente, StarCraft è un gioco che si basa sulla raccolta di risorse e sugli attacchi strategici, ed è necessario bilanciare entrambe le cose.

Una delle cose che mi è sempre piaciuta è la possibilità di usare sotterfugi. È possibile usare unità invisibili e sgattaiolare dietro le linee nemiche per lanciare una bomba nucleare o altri attacchi, e l'idea di poter mandare unità come diversivo per poi colpire il nemico alle spalle o altre strategie di guerra simili mi ha sempre affascinato molto. Abbiamo passato molto tempo a esplorare, invece di lanciarci nel classico scontro 1 contro 1.

Una delle cose più belle di StarCraft è che si ha la possibilità di approcciarsi al gioco in modo semplice, con classici scontri faccia a faccia, ma si possono anche imparare tattiche più sofisticate per battere l'avversario. Mi piace l'idea di poter passare da qualcosa di semplice a qualcosa di complesso.

Mio figlio è nato nel 1985, quindi quando abbiamo iniziato a giocare a StarCraft era piuttosto giovane. Mentre cresceva, si poteva notare il suo sviluppo intellettuale plasmarsi al pari della sua abilità con StarCraft. Bastava prendere una partita salvata dell'anno precedente e confrontarla per dire "Wow, guarda cosa riesci a fare adesso!" È stato davvero un modo per seguire la crescita dei miei figli. La gente di solito tiene come ricordo le foto di quando avevano 5, 10 o 18 anni... beh, noi tenevamo come ricordo le partite di StarCraft! Ci piaceva tornare indietro nel tempo e rivedere i replay e proprio come ci si sente imbarazzati al proprio 16° compleanno, quando la mamma tira fuori la vostra foto di quando avevate 6 anni, anche lui diceva "No, no, butta via quel replay, facevo schifo!"

Entrambi i miei figli hanno studiato nell'ambito informatico e credo che i videogiochi abbiano avuto grande influenza in questo. Entrambi hanno conseguito un dottorato in informatica al MIT ed entrambi lavorano attualmente in un'azienda specializzata in robotica a Boston.

Prima di StarCraft giocavamo a Warcraft. Com'è che abbiamo scoperto Warcraft? Non ricordo proprio. Però giocavamo a Warcraft I, quindi abbiamo iniziato molto presto.

Mio figlio iniziò a giocare ai videogiochi come Chuck Yeager's Air Combat quando aveva 4 anni. Tornavo a casa e mi diceva: "Papà! È un gran bel giorno per volare!", che è quello che Chuck Yeager diceva nel gioco.

Credo che la cosa importante, dal mio punto di vista, fosse il poter giocare assieme. Non credo che i miei ragazzi giocassero a molti altri videogiochi senza di me, soprattutto perché quando volevano farlo, io dicevo sempre "certo, giochiamo!". Se ti piacciono i videogiochi, è un gran bel modo per consolidare un rapporto familiare, quindi passavamo molto tempo così.

Insegnai loro a programmare molto presto. Insegnai a entrambi BASIC quando avevano 4 o 5 anni, fino a quando uscì Visual Basic, che era grandioso. Anche a soli 6 o 7 anni d'età era possibile scrivere codice per creare interfacce visive su Windows. Studiammo molta informatica, robotica e cose del genere, ma non era qualcosa che facevo per rendere i miei figli più intelligenti o cose del genere, lo facevamo solo perché ci piaceva. Era divertente.

Oh, mi è piaciuta molto! Voglio dire, non si può dire che sia realistica, ma non ha nulla da invidiare a quella cinematografica. Comunque, StarCraft non si è mai concentrato sulla rappresentazione dello spazio in sé, ma più sui rapporti personali. Jim Raynor, Sarah Kerrigan e il loro rapporto è, per quanto mi riguarda, l'aspetto culturale di StarCraft. La grafica e i filmati erano fantastici, ma non li definirei realistici. Ma la fantascienza non deve necessariamente esserlo.

Beh, sono davvero molte le sorprese che ti attendono quando si vola. Direi che la più grande sorpresa che ho avuto nel mio primo volo è stata la bellezza della Terra. Ero l'addetto alle foto/TV della missione STS-72 e ho passato anni insieme a fotografi a guardare video e immagini del pianeta, per cui pensavo di avere una buona idea di ciò che avrei visto. Quando mi sono avvicinato al finestrino per la prima volta... sai quando un ricordo ti si marchia per sempre nella memoria? Ecco, è uno di quelli.

La bellezza della Terra supera di gran lunga qualsiasi immagine esistente. La profondità dei colori, il verde della foresta amazzonica, il marroncino del deserto della Namibia, il bianco dei ghiacciai dell'Himalaya e le tonalità di blu degli strati dell'atmosfera... Non lo sapevo, ma ci sono almeno tra 16 e 20 tonalità di blu diverse quando si guarda l'atmosfera. Sono strati completamente separati tra loro. Vanno dal turchese più chiaro al blu più profondo che si possa immaginare e le pellicole o le immagini digitali non possiedono una gamma di colori dinamica abbastanza elevata da catturare ciò che gli occhi vedono. A occhio nudo è possibile vedere una nube bianca in contrasto con il nero assoluto dello spazio, ma una fotocamera si saturerebbe subito, o sul bianco o sul nero. Non potrei mai mostrare una foto che rendesse davvero l'idea della bellezza della Terra. È davvero incredibile.

Un'altra sorpresa è stata il non aver la minima idea di dove ci trovassimo. Guardavamo fuori dalla finestra e pur avendo studiato foto del pianeta per così tanti anni... niente, dovevo affidarmi al computer per capire dove ci trovavamo. Eppure, per Brian Duffy, ormai al suo terzo volo, bastava uno sguardo veloce per dire "Ehi guarda, quella è la tal provincia della Cina", oppure, "Quello è il deserto della Namibia". Io non facevo che ripetere "Non prendermi in giro, stai barando!". Credevo mi stesse solo prendendo in giro, che avesse guardato prima il computer, ma lui rispondeva "No, no, ti basterà guardare fuori per qualche giorno per capire". La prima cosa che riuscii a riconoscere fu la Grande Barriera Corallina. La mia reazione fu "Wow! Quella la riconosco! So dove ci troviamo", ma dopo solo tre giorni, imparai a riconoscere ogni luogo della terra, che non fosse un enorme oceano blu. Non ho idea di come funzioni quel processo di apprendimento, ma in qualche modo il nostro cervello è in grado di riuscirci.

L'altra cosa interessante, che fu un po' una sorpresa, fu imparare a volare. Avevamo un tunnel di circa 9 metri, che sembrava a tutti gli effetti una canna di fucile, e noi eravamo i proiettili. Volavamo avanti e indietro lungo questo tunnel, ma alla prima esperienza è davvero difficile; si rimbalza contro i muri, si batte la testa contro ogni protuberanza e alla fine della giornata si finisce ricoperti di lividi e tagli. Ma dopo una sola settimana, si impara a volare come Superman. È incredibile, davvero incredibile! Si ha la sensazione di avere poteri magici. Giocavamo a Quidditch senza scope. Svuotavamo un modulo cargo e giocavamo a Quidditch. Ci lanciavamo cose e nel cercare di prenderle alla fine tutti finivano col fluttuare in giro sbattendo gli uni contro gli altri. La sensazione di libertà che si prova nel fluttuare è davvero fantastica.

L'addestramento e le simulazioni fanno un buon lavoro per prepararti allo spazio, ma non credo sia esattamente la stessa cosa di fluttuare veramente... eccetto ovviamente per l'aereo zero G, che è fatto apposta per quello scopo, anche se solo per circa 30 secondi alla volta. Quando si va sott'acqua e si perde la sensazione del proprio peso, i compiti che si eseguono sono molto simili a quelli che si fanno nello spazio, ma quando ci si trova all'interno della tuta, si sente chiaramente l'influenza della gravità. La tuta galleggia, ma ha la tendenza a spingerti in una direzione definita da dove l'aria si trova al suo interno. Quindi, per esempio, se ci si gira sottosopra sott'acqua, la sensazione è piuttosto fastidiosa. Il sangue ti va in testa e si prova un grande peso sulle spalle, con tanto di lividi e cose del genere. È una cosa che cerchiamo in tutti i modi di non fare, ma quando ci si trova veramente nello spazio non esiste più il concetto di "sotto" o "sopra".

Quando ci si spinge da un muro sott'acqua, si riesce ad andare avanti per poco tempo, prima di fermarsi. Nello spazio, invece, si continua a fluttuare fino a colpire la parete opposta. La preparazione per quanto riguarda la sensazione che si prova a gravità zero è molto buona, in termini di compiti da eseguire, ma la viscosità dell'acqua può creare più problemi che altro.

Credo che l'esempio migliore che potrei dare in questo senso sia abituare il corpo a compiere un certo compito. In acqua, ci si abitua ad aggrapparsi alle grosse maniglie situate lungo tutta la lunghezza dello shuttle, e si tende a usare i polsi per posizionare il proprio corpo. È molto difficile e dopo 6/8 ore continue le braccia sono completamente distrutte. Si passano quindi un paio di anni a sviluppare degli avambracci da braccio di ferro, ma non è il modo corretto di agire; non bisogna mai forzare i movimenti.

Circa due settimane prima del mio primo volo, in cui era compresa una passeggiata spaziale, uno dei miei mentori, Story Musgrave, mi raggiunse vicino a una fotocopiatrice e mi chiese "Hai qualche domanda?", al che risposi "Sì, Story, come diavolo ci si orienta nello spazio?". Lui disse "Ohhh, non ti hanno spiegato dei colpi con le dita!"

Scoprii quindi che il metodo migliore per muoversi è tenersi leggermente alle maniglie e colpire la struttura con le dita più in alto. Questo fa sì che il corpo inizi a ruotare a una velocità costante ed è sufficiente colpire la struttura una seconda volta più in basso per fermarsi. Non si usa quindi un'intensità di forza arbitraria, tutto dipende più dalla quantità dei movimenti. Ogni colpo genera una specifica quantità di forza e, se si vuole ruotare il doppio più veloce, basta colpire la struttura due volte. Funziona perfettamente. Questa è una cosa che sott'acqua non può funzionare in alcun modo.

Infatti, mentre ci trovavamo in orbita, Story si trovava alle comunicazioni e mandai un messaggio dicendo "Story... Houston 82, Houston 82, questa cosa delle dita funziona davvero bene". Ci fu una pausa e poi Story rispose "...lo sappiamo, Dan".

Le simulazioni che facciamo per il lancio e il rientro sono a tutti gli effetti come dei videogiochi: ci sono quattro persone nel simulatore di pilotaggio, una cabina che simula anche i movimenti, e c'è un gruppo di istruttori diabolici che fanno di tutto per spingerti a suicidarti e insegnarti al tempo stesso come lavorare in squadra. Immagina di avere quattro persone all'interno di una replica perfetta della cabina dello Space Shuttle, con una grafica stupenda, il tutto montato su delle pompe idrauliche capaci di simulare perfettamente le reazioni all'accensione di un propulsore, in cui si è costretti a lavorare come una squadra guidati da un gruppo di istruttori professionisti che conoscono ogni sistema come le proprie tasche, il tutto per giorni e giorni. È così che si impara a gestire un'avaria dei computer in contemporanea a un'avaria elettrica, insieme a un'avaria dei sistemi idraulici in parallelo a un'altra avaria dei computer. Si hanno così due computer che dicono una cosa e altri due che ne dicono un'altra. A quali dare ascolto? Come si fa a passare da un sistema all'altro? Come si comunica senza intasare il sistema di comunicazione? È necessario dire il minimo indispensabile nel modo più chiaro possibile, e solo quando è strettamente necessario... è incredibile, davvero incredibile, e l'esperienza che si prova nel giocare a un videogioco è esattamente la stessa di quando ci si prepara a sopravvivere in un tale ambiente.

La gente mi chiedeva se avevo paura di volare e la risposta è no. Voglio dire, ero teso nel vedere i miei colleghi partire, ma quando ci si trova in quella situazione, si è così eccitati e pronti... che la paura di volare svanisce. Spesso mi è stato chiesto "Non avevi paura di sbagliare qualcosa?". La verità è che durante il mio primo volo non avevo molto a che fare con le procedure di lancio, ero un semplice passeggero. Quando si arriva sul ponte, però, con lo specifico ruolo di ingegnere di volo, l'addestramento ti porta a pensare "Ora come ora, sono la migliore persona al mondo per fare questo lavoro. Nessuno è meglio di me. Sei settimane fa c'era qualcuno più bravo di me e fra altre sei settimane qualcuno supererà anche lui, ma al momento sono io il migliore". Se commetto un errore, chiunque avrebbe fatto lo stesso. Ti portano a un livello di fiducia che auguro a tutti voi di provare almeno una volta nella vita. Nulla sembra più impossibile e si è assolutamente convinti che non ci possa essere nessuno più bravo di voi per farlo. È una sensazione bellissima.

Ci ho giocato e ho completato tutta la campagna, ma non ho potuto dedicarci la stessa quantità di tempo, perché quando uscì StarCraft II i miei figli erano già al college e non vivevano più a casa con noi, quindi non c'era più modo di trovarci insieme per giocare. Mia figlia ora è sposata e ha altre persone a cui badare, quindi tendiamo a giocare a giochi che possono includere più persone. Non giochiamo a StarCraft II tanto quanto facevamo con StarCraft, ma almeno siamo riusciti a completare la campagna. Siamo riusciti a farlo durante un Natale, ci siamo seduti insieme e l'abbiamo giocato dall'inizio alla fine. Non abbiamo avuto modo, però, di sperimentare molto con gli scontri 1 contro 1. Abbiamo fatto qualche partita in squadra, ma non molte da soli.

StarCraft II era un titolo molto atteso nella nostra famiglia [ride]. Abbiamo aspettato a lungo che uscisse. Non saprei... l'esperienza di gioco a cui eravamo abituati in StarCraft non si era rivelata molto diversa da quella di StarCraft II, a parte per gli aspetti cooperativi. Poi, nel frattempo erano usciti altri giochi con cui avevamo iniziato a giocare in modo cooperativo.

L'universo ci è sembrato molto più vasto, con più cose da fare, e credo che la storia in generale sia stata sviluppata più a fondo in StarCraft II rispetto a StarCraft. La relazione tra Raynor e Kerrigan si è evoluta e molti dettagli storici si sono rivelati davvero interessanti. Naturalmente, anche lo stile di gioco si è fatto più sofisticato, ma l'essenza del come e perché giocavamo non è cambiata di una virgola.

Direi che lo stile di gioco tra i due titoli, almeno per me che non sono un giocatore così abile, non si è rivelato molto diverso. Credo che il mio fascino per i protoss non sia per nulla cambiato; adoro come le loro strutture vengono evocate sul campo di battaglia. Dipendeva molto anche dalla giornata. C'erano giorni in cui mi sentivo tranquillo e rilassato e i protoss erano la scelta migliore; altri giorni mi sentivo in vena di spazzare via tutto in stile Generale Patton, quindi sceglievo i terran. Quando invece mi sentivo in modalità "Apocalypse Now", sceglievo gli zerg.

Una delle cose che ho apprezzato di entrambi gli StarCraft è che potevo facilmente adattare il mio stile di gioco in base al mio stato emotivo. Credo che la strategia di pubblicazione delle espansioni di StarCraft II, prima i terran, poi gli zerg e poi i protoss, sia stata una buona idea, nel senso che ha dato a tutti la possibilità di perfezionare la propria conoscenza e abilità con ogni singola razza, prima di passare alla successiva. Una volta passati ai protoss, quindi, si aveva la percezione di sapere esattamente come giocare i terran e gli zerg nel modo migliore. Credo sia stato un ottimo metodo d'insegnamento.

Ho fondato una società di robotica che sta andando molto bene, e ovviamente alcune delle cose vissute giocando a StarCraft tendono a venire a galla quando si costruiscono robot. Per esempio, c'è una distinzione tra robot controllati da remoto e robot completamente autonomi, che è del tutto analogo a controllare direttamente i movimenti di uno Zelota o dirgli di attaccare e lasciare che sia lui a muoversi autonomamente, supervisionandolo solo di tanto in tanto. Ora che ci penso, è un parallelismo piuttosto corretto rispetto a ciò che facciamo con i robot. Abbiamo livelli diversi di autonomia e, quando i compiti diventano troppo difficili per un robot, ci tocca intervenire sempre più spesso. È come parlare di microgestione e strategia generale.

Potrebbe essere interessante considerare le I.A. di alcuni giochi metodi per automatizzare alcuni compiti per i robot. È un'idea interessante, magari la studieremo più approfonditamente.

Ero in Giappone e, come saprai, c'è una gran differenza di fuso orario tra Tokyo e Boston, dove si trovava mio figlio. Uno dei due quindi era costretto ad alzarsi molto presto alla mattina per giocare insieme e, nonostante le difficoltà, riuscimmo a trovare il modo di farlo. Era mattina presto a Boston e pomeriggio inoltrato a Tokyo e stavamo giocando una partita cooperativa. Stavamo andando molto bene.

Non me lo dimenticherò mai, mi disse "Papà, devo andare a scuola". Erano effettivamente le 7 di mattina per lui, ma la mia reazione fu "AL DIAVOLO LA SCUOLA, DOBBIAMO RIUSCIRE A BATTERLO!". E lui rispose "OK!".

Eravamo lì a giocare insieme, quando a un certo punto iniziarono ad arrivarmi messaggi da mia moglie, che dicevano "Ma che state facendo?". Risposi dicendo "E dai, siamo nel bel mezzo di una partita". "Ma deve andare a scuola!", disse. Così le scrissi un altro messaggio che diceva "Ascolta, osservalo e guarda come sta spremendosi il cervello per attaccare quell'ultimo avamposto. Se credi che imparerà di più andando a scuola, allora chiudiamo tutto e lo mandiamo, ma se credi che imparerà di più scoprendo come battere questi zerg, allora lasciaci finire e a scuola oggi ci andrà un po' più tardi."

E così fece. "Hai ragione", disse alla fine. [ride]. Così giocammo per altre due ore e a scuola arrivò tardi, ma ogni tanto è necessario trovare dei modi per far imparare ai ragazzi divertendosi. Non basta insegnare loro a moltiplicare due numeri, devono voler imparare a farlo, così da poter risolvere qualsiasi problema si trovino davanti. StarCraft è perfetto per questo, è un gioco che ti fa ragionare. Questo concetto di riflessione e strategia... credo che gran parte della gente pensi che i videogiochi siano solo un insieme di movimenti rapidi. È lì che si sbagliano. Sono più che convinto che quel giorno mio figlio abbia imparato molto di più debellando la minaccia degli zerg rispetto a quanto avrebbe fatto a scuola, a imparare le tabelline o cose del genere.

Non è per denigrare la matematica basilare, è solo per dire che le motivazioni che spingono una persona a studiare, almeno per me, i miei figli e mia moglie, sono imparare a risolvere problemi. Per far questo, è necessario conoscere i mezzi giusti che vengono insegnati a scuola, ma poi vanno messi in pratica affrontando e superando i vari ostacoli. È una filosofia che seguo da molto tempo: bisogna fare tutto il possibile per diventare abili in ciò che si vuole imparare a fare. È un'ottima motivazione per raggiungere i traguardi scolastici.

Il finale della storia l'ho trovato un po' triste. Mi sono sentito proprio come quando si legge una serie di romanzi che alla fine ti fanno dire "Oh accidenti." Allo stesso tempo però è bello vedere tutti i nodi venire al pettine e c'è una grande soddisfazione nel vederne il risultato. Credo che il finale sia davvero degno di nota, ed è questo l'importante. Nessuno vorrebbe arrivare al punto di dire "Mah, non mi interessa. Ormai siamo al 32° episodio e non me ne frega più niente."

Mi è piaciuto com'è finito. Anche se non c'era più una storia da seguire e missioni da concludere, c'è sempre qualcosa di nuovo all'orizzonte. Mi piace l'idea di avere un finale col botto e credo che StarCraft II abbia avuto davvero successo in questo.

Per quanto riguarda andare su Marte, colonizzarlo e cose del genere... da piccolo credevo sarebbe stato quello il mio lavoro da astronauta. Pensavo "Beh, sulla Luna ci siamo già stati..." Credevo che avrei messo piede su Marte. È un traguardo che sembra essere sempre lontano di almeno vent'anni, ma è più una questione politica che tecnica. Potremmo andare su Marte oggi stesso; abbiamo la tecnologia necessaria, abbiamo i razzi per farlo, o perlomeno la conoscenza per costruirli. Sicuramente abbiamo la tecnologia per sopravvivere nelle caverne o cose del genere. È più un problema di volontà politica, credo, piuttosto che di possibilità tecniche.

L'altra domanda è: perché? Molta gente direbbe "Possiamo semplicemente mandare dei robot! Se si tratta di ricerche scientifiche, i robot bastano e avanzano!". Altri invece sono convinti che i robot non siano sufficienti. È un argomento complesso, perché se l'obiettivo è semplicemente quello di prelevare una roccia da Marte, allora sì, i robot sono più che sufficienti per farlo. Ma non credo che sia questo il vero motivo che possa spingerci a raggiungere Marte. Ci sono due ragioni per andarci: la prima è che se andassimo su Marte e trovassimo una prova definitiva dell'esistenza di vita nel passato del pianeta e si dimostrasse essere fondamentalmente diversa da quella presente sulla Terra, ovvero che non si basasse su DNA o RNA o sugli stessi aminoacidi, avremmo la conferma che la vita su Marte si è evoluta in modo del tutto indipendente da quella sulla Terra, e se ciò è accaduto due volte, allora è probabile che la galassia sia piena di forme di vita e non le stiamo semplicemente cercando nel modo giusto. Avremmo quindi risposto all'annosa domanda: non siamo soli.

D'altro canto, se andassimo su Marte e non trovassimo alcuna traccia di vita, pur confermando il fatto che milioni di anni fa Marte era caldo, umido e ospitale alla vita, allora verrebbe da pensare... sembrerebbe assurdo, ma magari siamo davvero soli.

Se fosse così, allora la seconda ragione per visitare Marte sarebbe altrettanto importante. Se colonizzassimo Marte e stabilissimo una colonia indipendente capace di sopravvivere anche in caso di distruzione della Terra, avremmo eliminato il rischio di subire l'estinzione a causa di un evento particolarmente catastrofico. Ora come ora, un singolo evento di grande portata è capace di spazzare via intere specie. L'impatto di un asteroide, un cambiamento climatico irreversibile, bioterrorismo... morirebbero tutti, perché tutti vivono sullo stesso pianeta. Se vivessimo anche su Marte, allora nessun evento singolo potrebbe mai spazzare via ogni singola razza. In pratica, garantiremmo l'immortalità delle specie terrestri. Raggiungeremo ogni angolo della galassia e un giorno Jim Kirk nascerà. Questa è la ragione per andare su Marte, per avere una colonia indipendente, ed è anche la ragione per cui i robot non bastano. Credo quindi che l'idea di sapere se siamo soli o no nell'universo e di rendere la nostra specie immortale siano ragioni più che sufficienti per andarci. Sono sicuro che prima o poi ci arriveremo.

Una cosa di cui non ho parlato è stata la mia visita nel quartier generale Blizzard. Ho conosciuto Tony Hsu, Mike Morhaime e Chris Sigaty ed è stato fantastico! Siamo andati sia io che mio figlio. C'è un piccolo museo all'interno, che custodisce il disco che portai nello spazio, insieme a molti altri manufatti.

Camminare per i corridoi di Blizzard è stata un'esperienza unica! Ci sono un sacco di modelli di creature che tutti noi abbiamo visto sullo schermo, ma mai dal vero. Incontrare i dipendenti è stato fantastico! Non avevo la minima idea della profondità dei loro lavori artistici: audio, musica, composizione, storia... la profondità della gente che abbiamo incontrato in Blizzard è davvero impressionante. Soltanto parlare con gli artisti, vedere come vengono sviluppate le creature e i personaggi, ascoltare le prime bozze di musica o vedere semplicemente lo spazio di lavoro di ogni membro della squadra... la gente lì ha davvero un'infinita varietà di gadget e oggetti a tema Warcraft e StarCraft sparsi in ogni dove. Superato un certo anno di anzianità si riceve una spada come premio, vero? Ti danno uno scudo, una spada... c'era gente con intere armature nel proprio ufficio!

E poi, ovviamente, ci siamo messi a giocare. Abbiamo giocato a StarCraft contro il produttore del gioco! È stato davvero fantastico. Poi ci siamo trovati nella mensa a parlare con gente con un'enorme passione per il proprio lavoro.

Alla NASA ero circondato da gente che condivideva profondamente la mia passione per il volo spaziale, la cui intera vita ha sempre girato intorno all'argomento. Trovarsi in compagnia di persone del genere, con cui puoi parlare tutto il giorno di ciò che più ami al mondo è incredibile. C'è tantissima gente che lavora per permetterti di volare nello spazio. La cosa migliore di lavorare alla NASA è proprio il trovarsi immersi in questo gruppo di persone che condividono la tua stessa passione. Dopo la mia visita, ho capito finalmente perché questi giochi sono così belli: non è perché fanno un lavoro come un altro per sopravvivere, ma perché sono guidati da una profonda passione. Vogliono che i loro giochi funzionino bene, siano belli da vedere, siano bilanciati e che regalino un'esperienza di gioco piacevole. Sanno perfettamente che questo non è un semplice lavoro, è una vocazione. È una cosa evidente quando si incontrano persone così.

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