StarCraft Remastered

Gli spumeggianti giorni di StarCraft: una retrospettiva sullo sviluppo

Blizzard Entertainment
Correva l'anno 1997 e la Mustang del '65 del direttore artistico di Blizzard, Samwise Didier, stava producendo un'allarmante quantità di gas di scarico. Quel vecchio veicolo era tenuto insieme con poco più di nastro adesivo e speranze e, quando in un soleggiato pomeriggio californiano Didier parcheggiò la sua macchina nel garage di sua proprietà, fu subito chiaro che nessuna contromisura sarebbe più stata sufficiente.

Didier aprì il cofano per esaminare la situazione. La sua macchina stava andando a fuoco. Si fiondò sul sedile del guidatore e allontanò la macchina dal garage, estrasse il componente in fiamme e lo gettò a terra per spegnerlo.

"I ragazzi avrebbero saputo usare solo macchine nuove, altrimenti le avrebbero sfasciate e a quel punto gli sarebbe servito un passaggio per il lavoro e sarebbero dovuti venire con te per un mese", dice Didier. "Hanno sempre trascurato le loro cose. Oh, mi sono dimenticato di metterci l'olio, dicevano. Cose stupide che però succedevano sempre".

Erano una combriccola di ventenni scapestrati che lavorava sessanta ore a settimana, più mezza giornata nei fine settimana. Giocavano a Street Fighter e Samurai Shodown, ricostruivano macchine semidistrutte, suonavano i loro strumenti musicali preferiti e si scatenavano tra karaoke e concerti. Ancora non lo sapevano, ma il gioco fantascientifico che stavano creando, un'improvvisazione dopo l'altra, sarebbe diventato il punto di riferimento dei giochi strategici in tempo reale ed elemento fondamentale degli eSport in generale. Il nome di quel gioco era StarCraft.    

In principio...

Diciannove anni dopo la sua pubblicazione, StarCraft è ancora molto popolare in tutto il mondo, in particolare in Corea del Sud, dove è trasmesso regolarmente sulla televisione via cavo e giocato live davanti a migliaia di fan in visibilio. Con un fascino così duraturo, è facile presumere che lo sviluppo del gioco in questione sia stato un balletto perfettamente sincronizzato di arte e progettazione. In realtà, si è trattato più di una rissa da bar.

"Non c'è stata una grande organizzazione", afferma Didier. "È stata più una cosa tipo: mettiamoci questa cosa e vediamo che succede. Ecco, questo è il Carro d'assedio. Questo è l'Incrociatore. Non siamo mai tornati indietro, non abbiamo mai detto: ehi, cambiamo questa cosa? Non c'era alcun desiderio di farlo. Era tutto fantastico esattamente com'era".

Trevor Jacobs è stato uno dei primi artisti di Blizzard. Una delle sue responsabilità è stata creare i disegni di tutte le strutture terran. Disegnò 3 o 4 pagine piene di edifici e la squadra selezionò quelle che riteneva migliori.

"Quella sembra un'armeria, aggiungici una ciminiera!", ricorda di aver detto Didier. "Quella sembra una caserma... anzi, a dire il vero sembra più un tostapane, ma lo chiameremo caserma".

La squadra stabilì alcune regole di progettazione generali. Le strutture terran dovevano essere squadrate e rozze, quelle protoss eleganti e rotondeggianti e quelle zerg vagamente triangolari e ricoperte di spine. Quando ci si trovò a doverle seguire però, artisti come Didier e Jacobs preferirono seguire il loro istinto.

"Ho fatto l'Incrociatore e ricordo di aver preso dei quadrati e rettangoli e di averli gettati a caso uno sopra l'altro, dato che non doveva essere tutto preciso", dice Didier. "Avremmo renderizzato i modelli in quattro piccole immagini, una per ogni angolo di visuale". Anni dopo, la prua a forma di martello dell'Incrociatore diventerà uno dei simboli più riconoscibili dell'universo Blizzard.

L'universo di StarCraft nacque da un uragano di creatività. "Quando abbiamo creato queste razze, non abbiamo fatto altro che cercare di mettere insieme tutte le idee che venivano a galla, selezionando quelle che funzionavano meglio", dice Didier. "Sapevamo che i nostri terran sarebbero stati rozzi e sporchi. Sapevamo che i protoss avrebbero dovuto essere... non selvaggi, ma primordiali e potenti. E sapevamo che gli zerg avrebbero basato la propria forza sul numero". 

Il team prese ispirazione da una grande quantità di opere di fantascienza, aggiungendo il proprio tocco personale. I protoss erano basati vagamente sull'archetipo dell'"alieno grigio" super intelligente, ma con alcune differenze fondamentali.

"Li abbiamo fatti alti tra i 2,5 e i 3 metri, invece della tipica concezione di alieno minuto e senza alcun tono muscolare", dice Didier. "I nostri protoss indossano delle pesanti armature dorate e degli alieni magrolini di certo non avrebbero potuto portarle."

D'altro canto, volevamo che la razza terran portasse l'atmosfera da "Selvaggio West" nello spazio.

"Abbiamo utilizzato uno stile grezzo, un miscuglio tra caratteristiche tipiche della mafia, dei redneck e degli scienziati pazzi... ed è così che abbiamo creato la nostra versione di marine spaziale. La gente era abituata a vedere federazioni galattiche ben organizzate e quasi immacolate, ma noi abbiamo preferito basarci su elementi opposti: bande di strada e rozzi prigionieri."

Praticamente ogni unità di StarCraft incarna questo stile di quasi totale improvvisazione.

"I Templari Oscuri? Sono i ninja dei protoss", dice Didier. "E cosa indossa un ninja? A volte hanno delle maschere davvero carine. Zeratul ha quella specie di bandana sul viso. Lo fa assomigliare a un santone o a uno sciamano di qualche tipo."

"I Fantasmi? Erano unità geneticamente modificate dal governo. A quel tempo non eravamo così tanto legati alla coerenza storica, quindi la prima cosa che ci venne in mente è stata: oh, forse li fanno crescere in grosse vasche! Magari hanno sei dita, così possono premere due grilletti! (Ride) Non che non potessero già farlo! È stato davvero bizzarro."

"Gli Zergling? La squadra dei filmati aveva una versione, quella del gioco un'altra e il ritratto era una cosa ancora diversa, quindi, quando abbiamo dovuto definire i disegni per il manuale, ho dovuto inventarmene un'altra tutta mia. Il mio disegno ha passato qualche mese allo Smithsonian come parte di un'esibizione di videogiochi, quindi credo di aver vinto."

La prima volta che Blizzard ha mostrato StarCraft al pubblico durante l'E3 del 1996, lo Smithsonian non poteva essere più lontano di quanto sembrava. I giornalisti non erano rimasti molto colpiti e in molti definirono il gioco con la frase "Orchi nello spazio", a causa delle somiglianze delle prime versioni del gioco con Warcraft II. Secondo Didier, il vero lavoro non era ancora davvero iniziato e la fredda accoglienza era il risultato di date di consegna molto strette e insufficiente preparazione.

"In quel periodo dicevamo tutti: oddio, l'E3 sta per arrivare, dobbiamo portare qualcosa da mostrare", dice, "così abbiamo praticamente... inventato cose."

Dopo l'E3, il team decise di rivisitare l'intero gioco. Per un po' di tempo, però, StarCraft lasciò il posto nelle priorità di Blizzard a un altro progetto:

"Uno dopo l'altro, tutti i membri della squadra di StarCraft si spostarono in quella di Diablo", afferma il direttore tecnico Bob Fitch, "fino a quando rimasi l'unico."

Nei due mesi successivi, Fitch ricreò l'intero engine da zero.

"Presi la lista delle cose che non potevamo fare", prosegue Fitch, "come poter far muovere le unità in una direzione mentre erano rivolte verso un'altra e ricreai l'intero engine del gioco così che potesse fare tutte queste cose."

Un altro problema era che gli altri studi stavano passando alla grafica 3D e Blizzard disegnava ancora a mano tutti i modelli, un pixel dopo l'altro. Didier e gli altri artisti iniziarono a sperimentare con il 3D anche se i risultati, almeno all'inizio, erano tutto tranne che promettenti.

 "Credo che il primo modello fosse stato quello del Goliath, e sembrava davvero ridicolo dalla prospettiva di gioco. Era poco definito e, una volta renderizzato, sembrava che fosse spesso uno o due pixel."

Per risolvere il problema, il team artistico rese i modelli più larghi e spessi, dando vita a uno stile davvero sopra le righe.

"Tutto ciò che girava su computer a quei tempi era fotorealistico, o almeno cercava di esserlo, con proporzioni realistiche, ma per noi non era abbastanza. Quello che abbiamo iniziato a fare con Warcraft era ottimizzare ogni cosa. In StarCraft era tutto tre volte più complesso e questo non ci ha aiutato", ammette Didier. "Il famoso stile Blizzard è stato ispirato da necessità tecniche."

Non è stata l'unica occasione in cui certe restrizioni tecniche hanno guidato la direzione artistica del gioco. Il team era limitato nell'utilizzo di 15 colori per ogni modello, ma a Didier non interessava. "Sai quando vai al ristorante e ti danno un pezzo di carta su cui scrivere e una scatola di matite colorate, fai di tutto per tirare fuori il meglio da quel poco che hai a disposizione e finisci con il creare qualcosa di interessante solo perché sei stato costretto a usare combinazioni di colori che non avresti mai usato normalmente?"

Silicon & Synapse

Nel 1993, un artista ventunenne di nome Brian Sousa notò un annuncio di lavoro nel laboratorio di informatica dell'Orange Coast College.

"Sai disegnare questo Viking?" chiedeva il volantino. Sotto l'illustrazione c'erano istruzioni su come fare richiesta di colloquio per un'azienda di videogiochi chiamata Silicon & Synapse.

Sousa disegnò il Viking e lo stampò. Portò il disegno a casa, insieme alle informazioni scritte sul volantino, ma non mandò mai la richiesta. Un paio di settimane dopo, ricevette una chiamata da un tizio di nome Allen Adham.

"Abbiamo qui il tuo curriculum", disse Adham, uno dei cofondatori dell'azienda. "Ti va di fare un salto qui?"

"Certo!", disse Sousa, esterrefatto. Solo in seguito si scoprì che fu sua madre a mandare la richiesta al posto suo.

"Mi aveva fatto delle domande sul mio curriculum e cose del genere, ma non avevo capito che intenzioni avesse", racconta Sousa. "La chiamai in camera mia e dissi tipo: l'hai mandato tu questo?"

"Oh, questa sì che è bella", esclama Adham quando viene a sapere di questa storia dopo tanti anni. "È stato un bene che non mi abbia detto nulla a riguardo."

Sousa partecipò a uno stage di due settimane e poi si aggiudicò il posto di lavoro. A quel tempo, Silicon & Synapse stava lavorando su tre progetti: The Death and Return of Superman, Blackthorne e un progetto chiamato Warcraft. Con un team così piccolo e così tanto da fare, lo studio sembrava quasi più un manicomio che altro.

"Lavoravo sempre", dice Sousa. "Mi piaceva e tutti lavoravano senza sosta."

Molti dei veterani che lavorano ancora per Blizzard sono accomunati da origini piuttosto umili. Trevor Jacobs lavorava in una bottega di insegne, intagliava il legno a mano e stampava lettere, prima di venire a lavorare qui. Altri artisti provenivano da gelaterie, cinema e altri lavori part-time. Il "tecnico audio" originale di Blizzard, Glenn Stafford, all'inizio era stato preso in prova per una settimana. Passò quella sua prima settimana chiuso nell'ufficio del cofondatore Mike Morhaime, impegnato a riprodurre le musiche e gli effetti sonori della versione PC di The Lost Vikings.

Giusto perché l'atmosfera già tumultuosa non bastava, l'azienda decise di cambiare nome ben due volte in poco tempo negli anni successivi. Per un breve periodo di tempo è stata conosciuta come Chaos Studios, ma andava in conflitto con un'altra azienda e nel 1994 girò un sondaggio interno con alcune proposte. "Blizzard" fu la scelta più votata.

Sousa non riesce a ricordarsi la proposta arrivata al secondo posto. "Ad Allen e Mike piaceva molto Blizzard e non volevano che vincesse un altro nome, così hanno inserito altre opzioni oggettivamente brutte", dice ridendo.

Basta chiedere ad Adham del nome perché gli si illumini il viso. "Il nome Chaos Studios richiamava la convinzione fondamentale che la creazione di videogiochi era caotica e che fosse necessario accettarlo", dice. "Ma purtroppo non abbiamo potuto utilizzarlo e l'abbiamo quindi cambiato in Blizzard, ma il concetto era più o meno lo stesso: questa forza potente e caotica, una furia incontenibile ma al tempo stesso magnifica da ammirare. Non può che lasciare bellezza al suo passaggio."

Secondo Adham, questa accettazione del caos era, ed è tutt'ora, la chiave del successo di Blizzard. "Non c'entra con quello che si impara a scuola. È più o meno l'esatto opposto, ovvero lasciare che i ragazzi si lascino andare per un po' di tempo, che abbiano abbastanza libertà per sperimentare. Con questa libertà e con direttori di gioco consapevoli del fatto che non sia saggio abusarne, sono usciti prodotti come Overwatch, Hearthstone e StarCraft."

Lo sviluppo di StarCraft racchiude proprio questa filosofia di innovazione e spontaneità. Per esempio, i filmati entrarono in produzione molto tempo prima che il resto del gioco fosse pronto. All'inizio del progetto, "Nemmeno le unità erano state fatte! Non avevamo idea di come sarebbero state le unità terran, quindi... ci siamo adattati con quello che avevamo."

In quel periodo, nessuno aveva idea di quale sarebbe stata la storia principale. Gli animatori preparavano delle scenette di prova, scegliendo personaggi e argomenti praticamente a caso. Sousa ricorda una tipica sessione di pianificazione:

"Cosa farete dopo?"

"Ahhh, ci sono dei tizi che attraversano il deserto in macchina e a un certo punto investono uno Zergling."

"Ok, poi cosa succede?"

"Ehhh... poi spuntano fuori altri zerg."

Il budget e i limiti di tempo costrinsero la squadra a improvvisare in molti campi. Glenn Stafford, ora compositore senior, riuscì a mettere insieme gli effetti sonori di StarCraft con quello che aveva a disposizione.

"Molti dei suoni degli zerg sono stati fatti da me", dice Stafford, "con un microfono e facendo versi tipo: " (si tira le guance e comincia a scuoterle) "HUWEAauguhughugh..."

Molte delle voci delle unità in StarCraft sono in realtà le voci dei dipendenti Blizzard. Stafford ha dato la voce all'SCV e alla maggior parte delle unità protoss. (Successivamente ha ripreso il ruolo di SCV in StarCraft II.)

I contributi audio dei dipendenti non erano limitati alle frasi dette dalle unità. Big Tuna, una band composta da dipendenti Blizzard, mise a disposizione una delle loro canzoni per il filmato introduttivo di StarCraft.

"Avremmo potuto scrivere qualcosa di nuovo", dice Stafford, "ma quella era semplicemente perfetta."

Gioca bene, gioca corretto

Nonostante il grosso carico di lavoro, lo sviluppo di StarCraft non è stato esente da momenti davvero divertenti. Giravano un sacco di alcolici in ufficio, almeno fino a quando due dipendenti non finirono per azzuffarsi, il che pose fine all'utilizzo di alcool sul posto di lavoro (almeno per un po'). Si usavano nickname e si organizzavano feste di Halloween e uscite notturne nei locali di karaoke. (Il miglior cantante dell'azienda era Roman Kenney, la cui canzone preferita, "I Believe in a Thing Called Love" dei The Darkness, lo portò a vincere parecchie sfide. "Ci vado ancora circa una volta a settimana", dice.)

L'abbondanza di personalità forti lasciò il segno in molte aree dell'azienda. per esempio, Trevor Jacobs ricorda di aver ricevuto linee guida diametralmente opposte sulla progettazione da parte dei suoi superiori.

"Ricordo che ero in una piccola stanza mentre stavo lavorando a qualcosa, quando il mio capo mi disse "Ok, bello, fallo grigio e più slanciato. Fallo più alto e snello."

Mentre stava per uscire, diede il cinque a Sam Didier e disse "Ehilà, come va?"

"Tutto bene!"

E poi, dopo che il mio capo se ne andò, Sammy si rivolse a me dicendo "Bello, bello. Fallo più grosso e più basso e con qualche colore in più."

Un'altra disputa riguardò come chiamare gli oggetti di scena presenti nel mondo di gioco di StarCraft. Un programmatore del Texas suggerì "Doohickies". Questo suggerimento fu in gran parte respinto dal resto del team, che alla fine optò per usare "Doodads."

E poi c'erano gli scherzi. Glenn Stafford una volta installò un finto virus sul PC del mago dei filmati Joeyray Hall. Fu poco dopo la messa in rete di tutti i computer dell'azienda, dunque il rischio di prendere un virus vero, anche se estremamente ridotta, tecnicamente era plausibile. Stafford mise un file batch su un dischetto e lo infilò nella macchina di Hall. La mattina dopo, quando il malcapitato accese il computer, Hall si trovò davanti a una terribile scelta:

"Premi Y per formattare il disco fisso o N per attivare il virus."

Quando Stafford arrivò, c'erano Hall, Asham e alcune altre persone davanti al computer.

"Glenn", disse Asham, con tono serioso, "hai fatto qualcosa al computer di Joeyray?"

Quella non fu certo l'unica occasione. Un ingegnere dell'ufficio collezionò lattine di Coca Cola vuote fino a riempire ben due finestre. Trevor Jacobs e Brian Sousa decisero di sostituirle con lattine di Pepsi, che l'ingegnere odiava. Questo richiese l'acquisto e la consumazione di centinaia di lattine nel corso di parecchie settimane.

"Bevemmo così tanta Pepsi che alla fine non potevamo più vederla", dice Jacobs.

Il venerdì prima del fine settimana in cui avevano progettato di sostituire tutte le lattine, l'ingegnere se ne andò dall'azienda.

Jacobs ricorda questa storia con vera angoscia. "La prima cosa che ci siamo detti fu tipo: ma stiamo scherzando?". Avevamo organizzato tutto, con tre o quattro sacchi pieni di lattine vuote di Pepsi."

Anche se tutti erano orgogliosi del gioco che avevano creato, si può dire che nessuno in Blizzard si sarebbe mai immaginato il livello di successo raggiunto da StarCraft. Perfino dopo l'uscita, e i buoni dati di vendita, passò del tempo prima che il team si rendesse conto dell'impatto che il gioco aveva avuto.

"Eravamo felicissimi dopo aver raggiunto i 10.000 giocatori", afferma Jacobs. "Era davvero fantastico e poi in Corea del Sud ci fu letteralmente un'esplosione di pubblico che credo nessuno di noi si sarebbe mai aspettato o ne comprendeva gli effetti, almeno dal mio punto di vista."

"Pensavamo fosse qualcosa di passeggero", ribadisce Didier, "ma al contrario continuò a crescere, non soltanto in Corea, ma anche nel resto del mondo."

"Speravamo di vendere un centinaio di migliaia di copie", dice Fitch, scuotendo la testa. "Alla fine ne vendemmo milioni."

Nell'inverno del 1998, dopo l'uscita di Brood War, tutti in ufficio lo giocavano, tanto che Adham doveva passare da noi per dirci che potevamo andare a casa.

"Ma noi gli dicevamo: aspetta", continua Jacobs, "Lasciaci finire un altro paio di partite prima di andare."

Questa parte non è cambiata di una virgola da allora.

Uno sguardo al passato

Mike Morhaime, presidente e CEO di Blizzard Entertainment, è seduto su una poltrona nel suo ufficio, intento a rilassarsi dopo una tipica giornata di lavoro.

Non trovi che tutto questo sembri quasi surreale, a posteriori?

"Sì", risponde.

Ti sembra fosse inevitabile, in qualche modo?

"No."

Quanto ha inciso la fortuna?

Ci riflette su un po', il rumore dell'aria condizionata a fare da sottofondo. Nella sua libreria ci sono svariate scatole di giochi ordinate perfettamente: tutti i giochi Blizzard mai pubblicati. Ci sono una spada e uno scudo appesi al muro. Sculture e statuette ovunque.

"Non saprei se definirla fortuna", dice. "Un po' è stato l'aver trovato gente talentuosa... ma direi che abbiamo fatto anche di tutto per trovarci nella posizione di essere fortunati."

"Abbiamo lavorato duramente", continua. "Abbiamo messo insieme un gruppo pieno di talento, passione e pronto a impegnarsi al massimo. StarCraft non è nato così, dal nulla. Tutto il team si è impegnato a fondo per creare questo gioco, sacrificando tutto il necessario."

Nonostante abbia co-fondato l'azienda, di cui è stato anche vicepresidente nel 1997, Mike ha sempre avuto un ruolo di primo piano nello sviluppo di StarCraft. Ha lavorato sul movimento delle unità, implementando grafica e animazioni. Il codice che controlla la raccolta delle risorse è tutta farina del suo sacco e ha inventato anche i trucchi. Ogni gioco di strategia creato durante i primi anni di Blizzard includeva dei codici per saltare livelli della campagna e Mike li ha creati tutti prendendoli dai titoli di svariati album di Natalie Merchant. Quelli di StarCraft sono stati ispirati da "Ophelia".

"Nessuno è mai riuscito a fare il collegamento", afferma.

Molte cose che oggi sono ovvie, ai tempi sembravano davvero impossibili. Mike confessa che il team di StarCraft non finalizzò l'economia di gioco fino a quattro mesi prima dell'uscita. Per quanto i minerali e il gas vespene siano fondamentali per l'identità stessa di StarCraft, sono stati tra gli ultimi elementi di gioco a essere definiti.

"Mentre stavamo lavorando su StarCraft, sembrava che tutto il peso del mondo fosse sulle nostre spalle", dice. "C'era anche il timore che non saremmo mai riusciti a finirlo."

C'è una parte di lui che ricorda con nostalgia quei tempi?

"Oh, assolutamente sì."

Si alza in piedi all'improvviso.

"Passavo molto tempo nell'ufficio di Sammy [Didier] e parlavamo di molte cose. A quel tempo aveva un'orca sulla sua scrivania."

Mike va in fondo alla stanza e si ferma dietro la propria scrivania. Tira fuori un giocattolo, un'orca assassina, lunga circa 30 cm.

"Ero solito prenderla in mano e passeggiare in giro per la stanza."

Osserva l'orca, portandola lentamente verso il divano.

"E un giorno decisi semplicemente di appropriarmene."

Lui e Sam sono andati avanti a rubarsela a vicenda sin da quel giorno.

Mike appoggia l'orca sul tavolo e la conversazione si sposta su altri lidi, fino a toccare gli eSport. La prima volta che Mike assistette a una partita professionale di StarCraft fu in Corea del Sud nel 1999.

"Andammo a un evento che celebrava il raggiungimento di 2 milioni di copie di StarCraft e Brood War vendute in Corea. L'evento includeva una partita di StarCraft. Una volta raggiunto il luogo dell'evento, c'era gente ovunque. Ci chiedemmo cosa ci facessero tutte quelle persone lì. C'era forse qualche altro vento in programma?"

Sogghigna. "Erano lì per la partita di StarCraft. La sala era completamente piena. Rimasi davvero colpito, soprattutto dal fatto che il pubblico comprendeva alla perfezione ciò che stava accadendo sullo schermo. Le esclamazioni quando qualcuno perdeva un SCV o distruggeva una Nave scientifica..."

Si ferma.

"Non avevo mai visto una cosa del genere. Fu una sensazione magnifica vedere quella gente così presa dal nostro gioco, creato con le nostre mani, giocato a quei livelli... e la gente li osservava, apprezzando l'abilità necessaria per farlo!"

L'idea di rimasterizzare StarCraft girava da un bel po' qui in Blizzard, ma non è difficile immaginare che l'origine di quest'idea risalga esattamente ai tempi di questo primo torneo, quando Mike vide per la prima volta con quale passione i giocatori avevano accolto StarCraft e di come l'avevano trasformato in qualcosa che Blizzard non si sarebbe mai immaginata.

"Non abbiamo fatto molta fatica a modernizzarlo con i mezzi che abbiamo a disposizione oggi", dice Mike riferendosi a StarCraft: Remastered, "così facendo, la gente potrà continuare a giocarlo negli anni a venire."

Al termine dell'intervista, Mike si accinge ad aprire la porta, ma non prima di aver preso l'orca giocattolo.

"Pesa un bel po'", esclama tenendola in mano. "Vuoi provare?"